Le analisi

Dalla collera all'impegno

La giornata della collera 2013 numero 34

Il sistema delle costruzioni ha inteso trasformare la collera in un manifesto programmatico

Dalla collera all'impegno

La crisi economico-finanziaria, che ha investito il nostro Paese, ha trascinato nella recessione più grave dal dopoguerra ad oggi la filiera delle costruzioni :imprese, operatori  e professionisti del comparto immobiliare, della produzione di beni e servizi, dell’edilizia, della distribuzione dei materiali edili, della vendita e gestione del patrimonio residenziale, commerciale, produttivo,  infrastrutturale, pubblico e privato.

La perdita produttiva tra il 2008 e il 2012 ha ormai raggiunto il - 26% in termini reali, ovvero 43 miliardi di euro in meno, e ha riportato i livelli di produzione a quelli di 40 anni fa.
Dalla fine del 2009, 40mila imprese hanno chiuso e moltissime sono sull’orlo della chiusura o del fallimento.

Nel 2012 gli investimenti in costruzioni hanno registrato una flessione del 7,6% in termini reali e a fine 2013 il settore delle costruzioni avrà perso, in sei anni, circa il 30% degli investimenti.
Soffrono tutti i comparti, dalla produzione di nuove abitazioni, che in questi sei anni (dal 2008 al 2013) avrà perso il 54,2%, all’edilizia non residenziale privata, che segna già una riduzione del 31,6%, alle opere pubbliche, che registrano una caduta del 42,9%. Solo il comparto della riqualificazione degli immobili residenziali mostra una tenuta dei livelli produttivi (+12,6%).

Gli effetti sulle imprese e sull’occupazione sono pesantissimi: le costruzioni hanno perso, dall’inizio della crisi ad oggi, 360.000 posti di lavoro. La perdita occupazionale supera i 550.000, se si considerano anche i settori collegati.
Gli studi professionali chiudono, anticipano il pensionamento i professionisti anziani e cessano l’attività, appena iniziata, i giovani. Tutte le professioni ordinistiche registrano un sensibile calo di iscrizione agli Albi e quelli che rimangono manifestano un forte disagio verso un sistema percepito come lontano, oscuro e spesso ostile.
I professionisti, gli imprenditori e tutti gli operatori del settore vivono l’attuale momento congiunturale non tanto come il risultato di una profonda crisi economica - di un mercato saturo o privo di opportunità - bensì come un momento storico nel quale la politica sembra non riuscire a trovare soluzioni o proposte coerenti.

L’asfissia generale che tutti percepiscono inaridisce l’ingegno, crea fughe pericolose in avanti, moltiplica il senso di incertezza e, soprattutto mortifica il mercato.

Eppure si tratta del primo settore italiano – per prodotto, occupazione e contribuzione fiscale -, settore in grado di riaccendere processi produttivi che si riflettono e si amplificano all’interno del sistema economico su moltissimi comparti. In Italia, il settore effettua acquisti di beni e servizi dall’80% dei comparti economici e risulta essere primario per l’attivazione del mercato interno del Paese e – considerati anche gli affitti, i condomini, le provvigioni e gli altri servizi - rappresenta il 20% dell’economia italiana.

Per rendersi conto delle potenzialità della filiera delle costruzioni, va tenuto presente che una domanda aggiuntiva di 1 miliardo nel settore genera una ricaduta complessiva nell’intero sistema economico di 3.374 milioni di euro ed un aumento di 17.000 occupati (di cui 11.000 nelle costruzioni e 6.000 nei settori collegati).

Di fronte ad tale scenario, emerge in modo evidente la necessità di misure strutturali in grado di invertire nell’immediato le tendenze in atto per rilanciare il settore, per stimolare la crescita economica del Paese e per dare una risposta alla domanda sia abitativa che infrastrutturale e di qualità urbana.
Servono politiche rivolte, in particolare, al mercato residenziale che determinino importanti effetti non solo economici, ma anche sociali, soprattutto attraverso interventi rivolti al miglioramento della qualità del costruito e della sostenibilità urbana.

Per soddisfare queste esigenze serve un progetto che riattivi la filiera, partendo dal mondo delle professioni tecniche italiano che deve essere accreditato di un maggior coinvolgimento nella definizione di procedure amministrative, di maggior partecipazione alle scelte di indirizzo nella gestione ed utilizzo del territorio, di maggior riconoscimento delle capacità di eccellenza acquisite e accertate.
L’eccellenza italiana merita la giusta attenzione e valorizzazione.
La politica dell’Unione Europea ha ben chiara l’importanza del settore delle costruzioni e il ruolo strategico, sociale ed economico che esso può svolgere poiché produce edifici e infrastrutture dai quali dipendono tutti i rami dell'economia. E’, infatti, il comparto industriale che fornisce più posti di lavoro in Europa e che contribuisce in maniera determinante agli investimenti.

Germania e Francia hanno adottato, già dal 2009, misure di medio termine in grado di garantire una pianificazione degli investimenti, privati e pubblici, e di assicurare in tal modo più concrete prospettive di crescita del settore.
L’Italia, purtroppo, è in ritardo nel riconoscere e restituire alla filiera delle costruzioni un ruolo determinante per la ripresa del Paese.

E’ un comparto ampio, diversificato e frammentato in cui, inutile nasconderlo, coesistono imprese profondamente diverse sotto il profilo etico, qualitativo e strutturale.

La filiera delle costruzioni, quella rappresentata dalle imprese sane e storicamente radicate nei territori, da tempo ha avviato un’importante riconfigurazione puntando a innovazione, qualità, tecnologia, estetica.
A queste imprese deve essere riconosciuto il diritto di vivere e di continuare a fare impresa  in condizioni di leale concorrenza.

Servono, dunque, azioni in grado: di contrastare l’affermarsi di quella parte di mercato che cresce grazie all’aggiramento delle regole; di avviare una crescita duratura che supporti il settore nei suoi processi di trasformazione.

Investire nella filiera delle costruzioni vuol dire investire per il futuro del Paese;  la nostra  filiera, invece, non è stata considerata un sistema economico essenziale allo sviluppo e le politiche economiche introdotte, così come quelle mai avviate negli ultimi anni, hanno  peggiorato la situazione e “depresso” l’edilizia in maniera eccezionalmente grave.

I prodotti finali della filiera - case, uffici, stabilimenti produttivi e commerciali , scuole, ospedali, edifici pubblici , verde e arredo urbano, strade e infrastrutture in genere - sono stati utilizzati per perseguire, nella maniera più semplice ed immediata, una mera politica di controllo della spesa pubblica, senza considerare gli effetti negativi che questa politica miope, con lo sguardo puntato al breve, determina sullo sviluppo.

Il futuro ci riserva un numero incredibile di sfide: cambiamenti demografici e climatici, globalizzazione, scarsità e depauperamento delle risorse naturali, crisi economiche mondiali. Sfide che richiedono maggiori capacità innovative e un crescente utilizzo di nuove tecnologie: crediamo che il comparto delle costruzioni possa mettere in gioco il suo potenziale di sviluppo rispondendo ad una domanda sempre più esigente ed attenta alle caratteristiche prestazionali dei prodotti ed alla loro sostenibilità ambientale.
 
La filiera delle costruzioni rappresenta un nodo cruciale: i bisogni di base delle persone, anche nel contesto della globalizzazione, rimangono invariabilmente legati alla qualità della vita.
La società desidera luoghi costruiti e infrastrutture in cui la vita si svolga nelle migliori condizioni possibili, che siano accessibili a tutti e confortevoli, sicuri e protetti, godibili a lungo, flessibili, energeticamente efficienti, rispettosi dell’ambiente e sostenibili economicamente, luoghi capaci di rispondere ad una domanda in continuo cambiamento.

Le costruzioni, dunque,  sono la chiave di volta per la sostenibilità economica, sociale e ambientale del nostro Paese. Un Paese, il nostro,  che investe troppo poco nella cultura della prevenzione e che non effettua pianificazioni strategiche di lungo periodo.

Le imprese che hanno investito nelle loro aziende, il mondo delle professioni che ha promosso il know-how tecnologico e formativo, gli operatori che hanno fatto della qualità e affidabilità un requisito reputazionale, chi rispetta il lavoro nelle regole e nella trasparenza dei contratti, chi oggi è in ginocchio perché paga in prima persona le negative ricadute di un rischio settore a cui non ha contribuito, tutte queste imprese e professionisti vogliono un patto con il Paese che riconosca il valore del loro essere impresa e la dignità del fare impresa.
L’Italia deve e può tornare a crescere.

Uno dei primi impegni concreti di tutti i candidati Premier per il prossimo Governo deve essere quello di salvaguardare l’esistenza della nostra filiera e tracciarne lo sviluppo, fermando quella che appare una inesorabile riduzione delle imprese, degli operatori, dei professionisti, dei fatturati, degli addetti e impiegati.

In questo senso, il sistema italiano delle costruzioni ha inteso trasformare la Collera in un Manifesto programmatico, sul quale chiede da subito il consenso di tutti coloro che si candidano alla guida del Paese, e sul quale instaurerà un dialogo costante nel tempo con il nuovo Esecutivo e con tutti i Gruppi Parlamentari della XVII Legislatura, per trasformare in azioni legislative concrete ogni punto del Manifesto stesso.

Un filo comune lega le osservazioni, le criticità, le proposte che tutta la filiera ha raccolto in questo documento: riaffermare il contributo positivo del settore delle costruzioni per la crescita, amplificandone gli effetti anche attraverso una politica che favorisca assetti organizzativi e produttivi in grado di sostenere la propensione all’innovazione, per accrescere la produttività e la competitività del sistema industriale, selezionando obiettivi prioritari.

Il ruolo della politica è fondamentale. Una politica, però, che sappia trovare nella sistematicità e unitarietà di obiettivi, con una visione strategica condivisa dal sistema Paese, il suo modus governandi, e che sia in grado di ridare valore alle persone, alla cittadinanza, alle imprese, al lavoro.

Nelle città si forma la metà del PIL mondiale e Milano, intesa come metropoli allargata di oltre 8 milioni di persone, che oggi è l’unica realtà italiana con rilevanza mondiale, sta rapidamente perdendo le posizioni acquisite.

Le nostre città hanno bisogno di una visione strategica, di una cultura sistematica della trasformazione, riqualificazione, rigenerazione urbana, di interventi che producano ricadute in termini economici ma anche sociali e ambientali. In quest’ottica la rigenerazione urbana rappresenta un nodo essenziale per il futuro, nella consapevolezza che una politica di rinnovamento del patrimonio edilizio è importante sotto molteplici profili: economico, sociale ed ambientale.

Chiedere più risorse destinate al settore non vuol dire solo più investimenti diretti dello Stato, o investimenti pubblici più efficaci ed efficienti, ma vuol dire anche creare le condizioni perché le risorse private riaffluiscano nel settore immobiliare e delle costruzioni.

Come imprese e come cittadini riteniamo che il comparto vada liberato dai vincoli e dai pregiudizi, che vadano fatte uscire dal mercato le imprese che non hanno qualificazione, reputazione, trasparenza.

Affinché possa essere una leva di rilancio del Paese questo settore vuole mettersi in gioco, sostenendo chi crede nel valore del fare impresa, isolando chi gioca fuori dalle regole.

Ma è indispensabile che il Paese riconosca come una delle priorità il rilancio di questo comparto economico.


Per ripartire subito bisogna:

LIBERARE LE RISORSE DISPONIBILI  

Da anni assistiamo a proclami di programmi d’investimento, di fatto male accompagnati da un’effettiva disponibilità di risorse in grado di consentire il progressivo recupero del gap infrastrutturale italiano e di migliorare la qualità delle nostre città e della vita.

Bisogna accelerare l’utilizzo delle risorse stanziate e liberare le capacità di investimento dei Comuni, i nodi del sistema Paese, rivedendo le regole del Patto di stabilità interno, che rappresenta la principale causa di ritardo e di freno alla realizzazione di opere necessarie a garantire la qualità della vita.

Occorre : modificare le regole del Patto, introducendo criteri in grado di premiare le spese in investimenti, una “golden rule” da applicare a livello nazionale, in attesa di una eventuale modifica del Patto europeo; rivedere il meccanismo di contabilizzazione delle spese, considerando il momento dell’impegno e non quello del pagamento.

Le numerose manovre correttive hanno agito quasi esclusivamente sulla componente in conto capitale della spesa, quella più facilmente comprimibile nei tempi necessari ad assicurare la correzione dei saldi di finanza pubblica. Dal 2009 al 2011 la spesa in conto capitale ha subito una riduzione del 28,4%, mentre quella corrente ha continuato a crescere registrando un aumento dell’1,8% e le previsioni per i prossimi anni confermano tale tendenza.

Anche l’analisi del Bilancio dello Stato per il 2012 conferma il disimpegno del decisore pubblico nella spesa in conto capitale e, in particolare, in quella per i lavori pubblici. Le risorse per nuove opere pubbliche sono calate del 44% negli ultimi 4 anni e rappresentano, ormai, solo l’1,4% del bilancio dello Stato.

Bisogna attivare una politica strutturale per la casa, che operi in forma organica e non attraverso interventi spot. La carenza di abitazioni, soprattutto per le fasce sociali deboli, continua ad essere un problema non risolto che si è aggravato per l’assenza di quelle azioni organiche (Stato-Regioni-Comuni-Operatori) che avevano dato buoni risultati in passato (piano decennale ecc.).


PORTARE  QUALITA’ ITALIANA NEL PRODOTTO EDILIZIO

Favorire l’affermarsi, in un mercato in forte crisi come quello delle costruzioni, della QUALITA’ ITALIANA vuol dire dare più risorse al settore.
 Chiediamo di salvare le imprese che costruiscono veramente “a regola d’arte” e forniscono maggiori garanzie di risultato.
 
Questo vuol dire selezione del mercato, vuol dire sostenere chi produce edifici ad elevate prestazioni, perché solo la qualità dovrebbe essere distintiva nel futuro del settore (prestazioni energetiche, acustiche, statiche, di sicurezza, ecc.).

Vuol dire : puntare allo sviluppo della filiera industriale italiana; incentivare il mantenimento dei capitali e degli investimenti nella nazione di appartenenza che dovranno essere supportati il più possibile dalla politica, come strategia per la crescita del settore.
Per ottenere qualità serve qualificazione del mercato.

Qualificazione del mercato
L’attività edile è considerata attività libera, chiunque può fare l’imprenditore in questo settore, semplicemente presentando alla Camera di Commercio una carta d’identità e un codice fiscale. Quanto alle regole del mercato, infatti, esiste oggi un sistema di qualificazione soltanto nel settore degli appalti pubblici; si ritiene imprescindibile intervenire, pertanto, affinché vi sia una disciplina sull’accesso e sulla qualificazione delle imprese anche nel mercato privato.
Sarà necessaria maggiore formazione e specializzazione, maggiore ricerca e sviluppo nelle professioni, nella promozione immobiliare, per le aziende produttrici, in cantiere, nella vendita. La strategia politica dovrà necessariamente tenere conto di questi aspetti incentivandoli e promuovendoli.

Sostegno all’innovazione di prodotto e di processo
Oggi il settore ha bisogno di essere sostenuto nei processi di innovazione con adeguati sistemi di agevolazione, ma ha bisogno di  vedere riconosciuti i propri sforzi con un maggior controllo volto a espellere chi gioca su altri piani.
Devono quindi essere agevolate le aziende che lavorano in maniera qualitativamente superiore e che forniscono determinate garanzie, lo devono essere non solo nel mercato privato ma, prima di tutto, in quello pubblico.

Sostegno alla riconfigurazione del mercato
Si giocheranno nei prossimi anni importanti partite nel comparto della riqualificazione degli edifici esistenti e per molte imprese questo vuol dire riconfigurare i propri processi produttivi.
Occorre, quindi, sostenere il percorso di valorizzazione del patrimonio costruito anche attraverso il perfezionamento di strumenti finanziari idonei.

Sostegno alla riqualificazione intelligente
Ma non basta, le barriere e le difficoltà maggiori non possono essere economiche, filosofiche o legate all’ignoranza: la conoscenza delle tecnologie migliori per l’edificio devono essere valutate da una diagnosi valida e scientifica.
Spesso si fa confusione tra gli interventi di riqualificazione energetica con quelli di pura ristrutturazione o manutenzione, cercando un risultato che non era preventivato neanche da progetto. Troppo spesso le valutazioni tecnico-economiche degli interventi non tengono conto di tutti gli aspetti di risparmio conseguibile e, soprattutto, vengono eseguiti studi su interventi estremi non sempre necessari.
La diagnosi non può essere facoltativa, deve diventare un punto fermo e la base per la corretta progettazione di un intervento di miglioramento energetico.
Bisogna rendere obbligatorio il libretto di fabbricato, unico strumento in grado di rendere stabile un processo di riqualificazione del costruito.
La corretta combinazione degli interventi involucro/impianto richiede l’allineamento delle competenze nella filiera: bisogna che imprese e professionisti si impegnano a lavorare insieme per offrire al mercato della riqualificazione serietà e controllo dei risultati.

Incentivi fiscali per benefici reali
Le detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione (36%, momentaneamente al 50%) e di riqualificazione energetica (55%) hanno avuto un ruolo importante nel sostenere la riqualificazione degli edifici: ora serve un passo in avanti.

La manutenzione è la migliore assicurazione.
La mancanza di manutenzione porta alla rovina delle costruzioni, con danni incalcolabili, in termini di vite umane, oltre che economici.
La collettività non può più farsi carico degli oneri derivanti da questi danni e, quindi, è stato introdotto il tema di una assicurazione obbligatoria.
Proponiamo, in alternativa a questo strumento, che il legislatore imponga la stipula di un contratto di manutenzione programmata, che goda degli opportuni benefici fiscali.
Le nostre imprese sono pronte ad offrire e garantire questo servizio.

La trasformazione del mercato parte dagli edifici di nuova costruzione
Le imprese hanno alcuni traguardi da raggiungere: costruire a bassi costi e ad alte prestazioni. Le costruzioni di nuova generazione forniscono migliore  comfort, migliore gestione, risparmio energetico effettivo ma, soprattutto, risparmio economico subito visibile in bolletta.

Per valorizzare i prodotti che rispondono a questi requisiti ci impegniamo a promuovere una comunicazione trasparente e diffusa a tutela dei consumatori, ma anche delle imprese che seriamente stanno affrontando questa nuova sfida. Riteniamo sia necessario, per ottenere questo risultato, non solo il controllo della qualità ma anche dei costi proposti: vogliamo contrastare la “perversione di un mercato” che gioca solo sul ribasso dei costi, perché ora va garantita la qualità dell’opera.

Informazione = costruzione
Qualunque intervento edile, che si tratti di una nuova costruzione o di una ristrutturazione, parte da un progetto. Il passaggio dal progetto al cantiere è ancora una delle debolezze della filiera, per questo occorre guardare con concretezza alle nuove tecnologie informatiche come strumenti di supporto al processo produttivo che consentono: facilità di comprensione e di accesso alle informazioni tecniche, compatibilità per futuri interventi migliorativi/conservativi dell’edificio (e dunque un risparmio nel medio lungo periodo per i clienti finali); certezza di conservazione nel tempo.
Il legislatore italiano , come avverrà a breve in Gran Bretagna, deve valutare i possibili benefici derivanti dall’utilizzo del BIM (Building Information Modelling) come unico formato accettato in sede di bandi pubblici.

Conoscenza delle prestazioni energetiche degli edifici e programmazione dell’obbligo di miglioramento
L’obbligo di diagnosi/certificazione energetica, oggi previsto solo per i beni oggetto di trasferimento a titolo oneroso, andrebbe esteso a tutti gli immobili esistenti (compresi quelli a destinazione industriale) e la prestazione energetica dell'immobile andrebbe inserita nei dati catastali, in modo che la conoscenza dello stato energetico del patrimonio edilizio e delle prestazioni energetiche di ogni singolo immobile o del complesso edilizio, possa stimolare interventi di efficienza avendo ben chiari il punto di partenza e gli interventi più efficaci da effettuare.
L’onere potrebbe essere compensato dalla detraibilità fiscale del relativo costo.
Su tale base, peraltro sul modello dell’Energy Act 2011, si potrebbe valutare di stabilire, in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo (2020/2025), di vietare la locazione di immobili e la loro commercializzazione al di sotto di una certa classe energetica, consentendone l’uso e l’agibilità solo dopo l’effettuazione degli interventi di riqualificazione necessari a ricondurli nell’ambito della accettabilità definita nei limiti fissati  dal d.lgs 192 per le nuove costruzioni.
E', altresì, ipotizzabile introdurre, con simili modalità, l'obbligo alla manutenzione programmata ed al decoro architettonico, nonché all'adeguamento sismico degli edifici.

Il patto della filiera per la qualità italiana
Sappiamo che a monte di un radicale cambiamento del settore deve esserci un patto di filiera, un impegno a fare insieme un percorso che porti ad un nuovo “contratto tra le componenti del settore delle costruzioni“.

Per questo le imprese, gli operatori, i professionisti della filiera delle costruzioni  si impegnano a condividere cinque  regole comuni:

1.    Privilegiare il ricorso a professionisti e imprese che forniscano progetti, materiali o sistemi supportati da valutazioni tecnico-scientifiche validate in base alle norme e legislazioni vigenti.
2.    Scegliere fornitori che offrano una cura dei dettagli in fase di progettazione, che dispongano di un elevato livello di professionalità e attenzione in fase di costruzione.
3.    Puntare a costruire cordate, aggregazioni, filiere che abbiano la qualità come elemento costante dalla fase di progettazione a quella di esecuzione e vendita.
4.    Rifiutare chi compete giocando sul ricorso a mano d’opera non specializzata e con un contratto di lavoro non adeguato alle lavorazioni che vengono effettuate.
5.    Possedere flessibilità di pensiero per saper cogliere le opportunità che la tecnologia può fornire senza fossilizzarsi nelle abitudini e nella tradizione, non smettendo mai di studiare ed approfondire tutti gli aspetti tecnici e scientifici di quanto viene proposto.


RICHIAMARE LE RISORSE PRIVATE NEGLI INVESTIMENTI
Bisogna creare le condizioni per attrarre capitali privati negli investimenti pubblici e privati.
 
Il mercato immobiliare non residenziale
L’efficienza del mercato immobiliare non residenziale dipende, in buona misura, dalla presenza di investitori istituzionali, soprattutto internazionali. Tale ultima categoria ha dimostrato, in tempi recenti, scarsa propensione a valutare opportunità di investimento nel nostro Paese, rilevando tra l’altro una inefficienza degli strumenti posti a disposizione per la loro realizzazione.

Dall’impresa al territorio, alla città: Partenariato Pubblico Privato come possibile sinergia per dare più risorse al settore.
Più risorse al settore vuol dire anche sostenere una visione di qualità che abbraccia il contesto in cui le imprese operano, approccio che si integra perfettamente con quello della “Smart City”, che interpreta l’evoluzione urbana in termini di economia, mobilità, ambiente, persone, qualità della vita, oltre che di governance.
 
La gestione della complessità rappresenta l’aspetto strategico per riprogettare le città in termini di “sistema urbano intelligente e sostenibile” : dalla pianificazione e gestione territoriale al ciclo energetico; dal trasporto di merci alla mobilità delle persone; dalla gestione dei rifiuti ai consumi negli edifici; dall’istruzione alla sanità, fino alla fruizione del patrimonio culturale e al turismo.
Il Piano città, recentemente “lanciato”, dovrà dimostrare di essere realmente lo strumento per riqualificare i centri urbani, recuperare le periferie, anche attraverso interventi di demolizione e ricostruzione - come già da tempo avviene in Europa - in una logica non solo di sostituzione del singolo edificio ma, di recupero di ampie parti di città.

Come già avviene nel mercato pubblico, dove il partenariato pubblico privato si esprime in molte forme per il finanziamento delle opere, per la riqualificazione del territorio, i benefici della leva fiscale dovranno controbilanciare i ridotti contributi pubblici. Il “Piano città” dovrà consentire di detassare l’acquisto del vecchio da parte delle imprese e concedere recuperi fiscali dei costi di ristrutturazione per gli acquirenti del nuovo (adeguato agli irrinunciabili standard di sicurezza e risparmio energetico).

Più risorse per la manutenzione e sicurezza del territorio.
Mettere in sicurezza il territorio per salvaguardare i cittadini è di primaria importanza. Bisogna far partire subito il piano sul dissesto idrogeologico, superando i limiti del Patto di stabilità interno che impediscono di spendere le risorse per la messa in sicurezza del territorio.
Occorre adeguare sismicamente il patrimonio edilizio esistente, partendo dalla definizione di criteri di priorità per le situazioni in cui è necessario intervenire. L’allentamento del Patto di stabilità, limitatamente alle spese per la messa in sicurezza, è fondamentale per favorire l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio pubblico.
Per quanto riguarda i privati, si propone di inserire il costo degli interventi per la sicurezza sismica tra quelli incentivati dalla detrazione fiscale del 55%, oggi in vigore per il risparmio energetico, senza alcun limite massimo d’importo di spesa. Lo sgravio potrebbe essere utilizzato per un periodo di prova e, poi, prorogato dopo un’attenta valutazione degli effetti prodotti.
Analoga misura dovrà essere prevista per le questioni ambientali, come la messa in sicurezza amianto.
Tra gli edifici esposti al rischio naturale rientrano alcune strutture, come le scuole e gli ospedali, che hanno particolare importanza nel caso di eventi calamitosi. Non solo l’esposizione ai rischi naturali, ma anche una preoccupante condizione di inadeguatezza statica di molti edifici scolastici e ospedalieri pone l’urgenza di intervenire per la salvaguardia della sicurezza di chi quotidianamente fruisce di questi servizi pubblici essenziali.
Scuole e ospedali dovrebbero rappresentare una priorità nel piano di prevenzione del rischio sismico e idrogeologico, anche in virtù del ruolo esemplare che la Pubblica Amministrazione deve ricoprire, diventando così modello di riferimento per gli altri.


Più risorse per riqualificare e modernizzare il patrimonio immobiliare scolastico.
E’ prioritario avviare un grande programma di edilizia scolastica che privilegi la collaborazione pubblico-privata, prevedendo allo stesso tempo l’esclusione dal Patto di stabilità interno dei fondi pubblici destinati al programma.
Gli interventi potranno riguardare l’ammodernamento e il recupero del patrimonio scolastico esistente, prevedendo anche la messa in sicurezza degli edifici, e la realizzazione di nuovi plessi scolastici. Tutto questo in un’ottica di razionalizzazione e contenimento delle spese correnti di funzionamento, utilizzando, anche, i risparmi derivanti dalla migliore efficienza energetica dei nuovi edifici e per realizzare e gestire istituti scolastici al servizio delle comunità locali e ispirati alle nuove esigenze della didattica.
Le risorse finanziarie necessarie a tale programma potranno essere reperite all’interno della programmazione comunitaria residua 2007-2013 e in quella del prossimo settennio, nella diversa allocazione dei canoni di affitto sostenuti per oltre 5.000 edifici, nella permuta dei vecchi immobili da dismettere, dagli attuali flussi di spese correnti destinati a servizi diversi dall'istruzione, ecc.
Particolare attenzione dovrà essere attribuita a rimuovere gli ostacoli delle imprese all’accesso al credito, ad esempio prevedendo l’intervento diretto di Cassa Depositi e Prestiti e di Banca Europea degli Investimenti, sulla base di procedure trasparenti, standardizzate, in grado di operare una chiara definizione del rischio.

Più risorse per la qualità ambientale.
Sempre nell’ambito della messa in sicurezza del territorio a salvaguardia dell’ambiente e, quindi, a tutela della salute dei cittadini sussiste un’ulteriore urgenza: quella della programmazione degli interventi di “bonifica e smaltimento amianto” nonché di “bonifica dei siti contaminati”.
Si stima che, solo nel territorio della Regione Lombardia, vi siano 2.670 mila m3 di amianto (esclusi i manufatti interni alle abitazioni) da smaltire entro fine 2015; per centrare questo importante obiettivo, contenendo i costi di smaltimento ed escludendo impatti ambientali, sono indispensabili stanziamenti e risorse finanziarie adeguate.
Serve una chiara strategia volta a sostenere gli investimenti, anche privati, per l’apertura sul territorio regionale di impianti autorizzati per lo smaltimento.
Due linee di azione appaiono prioritarie : attuare i piani di bonifica e attrezzare il territorio con le infrastrutture necessarie. Due azioni che consentirebbero di affrontare il tema ambientale con misure atte a ridurre i costi e i danni all’ambiente conseguenti alle movimentazioni a lungo raggio.
Il territorio ha bisogno di risorse per la “bonifica dei siti contaminati” e per fare ciò , in una situazione di risorse pubbliche inadeguate e di accertata impossibilità di applicare il principio comunitario “chi inquina paga”, bisogna rendere praticabile l’afflusso di risorse private.
L’industria delle costruzioni può essere una risposta alla riqualificazione del territorio, anche in un settore difficile come quello delle bonifiche.
Bisogna avere il coraggio di riconoscere che oggi i cittadini convivono con situazioni pesanti sotto il profilo ambientale a cui lo Stato non è in grado di dare risposte adeguate da anni.
Chi investe in questo contesto deve poterlo fare nella certezza del diritto e con “tempi della burocrazia” accettabili. Tempi che oggi si collocano in due anni di attesa per aree di intervento edilizio di medie dimensioni (circa 3.500 m2 di superficie), limitando l’interesse allo sviluppo del mercato immobiliare nel recupero di aree con problematiche ambientali.

Risorse meglio usate per il restauro e il consolidamento architettonico dei nostri beni storici, la nostra vera ricchezza
Il nostro patrimonio storico architettonico langue nell’oblio e nel degrado, e con esso si distrugge anche un capitale di competenze e conoscenze che la filiera produttiva del restauro e della conservazione ha nel nostro paese.
Una eccellenza, unica al mondo, che si va disperdendo perché vengono meno le opportunità di consolidare quelle competenze nel mercato interno, principale volano per questo segmento di mercato.
La nostra generazione sta distruggendo la vera ricchezza del paese: una storia millenaria che potremmo usare come risorsa naturale su cui costruire un solido mercato.


Chiediamo:

UN ACCETTABILE CICLO DEI PAGAMENTI

Siamo il settore più colpito dal fenomeno e ne subiamo le ricadute in tutta la filiera del mercato pubblico e privato: non paga più nessuno.

La dimensione finanziaria dei ritardi di pagamento della P.A. ha raggiunto ormai i 19 miliardi di euro sui 70 stimati dalla Banca d’Italia e questo importo è in costante crescita. Non solo aumenta l’importo dei ritardati pagamenti ma, aumentano anche i tempi di pagamento. In media, le imprese che realizzano lavori pubblici sono pagate 8 mesi dopo l’emissione del SAL e le punte di ritardo superano ampiamente i 3 anni.
Questo inaccettabile fenomeno ha concorso a decimare il numero di imprese nel nostro Paese, generando ricadute su tutta la filiera.

Siamo penalizzati perché per molte imprese la Pubblica Amministrazione è l’unico committente: gli importi che le imprese vantano a credito sono spesso di consistente entità e questo mette in ginocchio l’impresa stessa.
Pur tuttavia, continua a permanere una scarsa attenzione al comparto, come dimostra il tentativo di escludere dalla direttiva comunitaria proprio questo settore.

Chiediamo a gran voce il rispetto delle regole e dei contratti, per un principio di legalità che riteniamo debba essere osservato prima di tutto dallo Stato.
Sottoscriviamo protocolli che non possiamo rispettare perché a monte vengono ignorate le basilari regole di un paese civile: essere pagati per lavori regolarmente svolti.
 
Vogliamo un vero programma di emersione e smaltimento del debito pregresso e che sia applicata la nuova direttiva comunitaria sui ritardati pagamenti (in vigore dal 1° gennaio 2013) rendendone trasparenti gli effetti e monitorando il miglioramento delle condizioni di pagamento alle imprese.

Se ci fosse garantito il puntuale rispetto dei termini di pagamento potremmo ricominciare a investire nelle nostre imprese per:
•    l’acquisto di nuovi macchinari, più tecnologici o più adeguati sotto il profilo ambientale;
•    una migliore e più avanzata tecnologia;
•    l’assunzione di nuova manodopera con particolari skill tecnici.


RIDARE CREDITO AL SETTORE DELLE COSTRUZIONI E ALLE FAMIGLIE

Le piccole e medie imprese, che hanno sempre avuto nelle banche un partner che dava valore alla loro reputazione e affidabilità, sono ora in ginocchio.
Non si può parlare di “interventi per la crescita” e di “tutela delle PMI” senza una misura che richiami il sistema bancario a svolgere il proprio ruolo.

Le imprese sono consapevoli che stanno subendo le conseguenze di una scarsa credibilità, generata da comportamenti e distorsioni del loro stesso sistema economico.

Ma è arrivato il momento di pretendere dei distinguo per contrastare l’avversione al rischio verso gli investimenti del settore, per superare la creazione di circoli viziosi che, oltre a danneggiare seriamente le imprese di costruzioni, peggiorano la situazione economico-finanziaria delle stesse banche, provocando sofferenze da parte delle imprese e situazioni di crisi “indotta”.
 
Gli effetti economici e sociali di questo credit crunch sono drammatici. Occorre intervenire subito e riattivare il circuito del credito anche per i privati, consentendo agli investitori istituzionali (Cassa Depositi e Prestiti, finanziarie regionali, fondi pensione) di intervenire sugli strumenti di finanziamento a medio-lungo termine per finanziare mutui a favore delle famiglie per l’acquisto di immobili, come ad esempio la prima casa.

Occorre istituire un Fondo di garanzia dello Stato a copertura dei rischi dei mutui per l’acquisto di abitazioni, erogati dalle banche alle famiglie appartenenti a categorie disagiate. Nel periodo 2007-2011, i mutui per investimenti nell’abitativo sono diminuiti del 38% e, nel non residenziale, il calo è stato del 44,4%. Nel primo semestre 2012, la situazione è peggiorata, con un ulteriore restrizione, rispettivamente del 20% e del 33%.

Occorre riproporre una legge come la 457/78 che ancora oggi appare una delle norme più efficaci per la concessione di mutui agevolati, condizione indispensabile per far ripartire il mercato abitativo.
 

UNA POLITICA FISCALE CHE SOSTENGA LO SVILUPPO DEL PAESE

Bisogna ridare ossigeno ad un mercato asfittico, anche, attraverso la leva fiscale/finanziaria.
 
Sul fronte della fiscalità immobiliare serve, infatti, un progetto politico basato su una visione integrata del settore e del suo indotto. Serve una norma organica orientata alle agevolazioni fiscali e tributarie per la ristrutturazione e la costruzione di abitazioni.

Il primo sostegno fiscale all’attività del settore è quello di favorire l’accesso alla proprietà immobiliare.
Anche in presenza di importanti quantità invendute - se si guarda al fabbisogno primario di abitazioni - è possibile constatare che nel periodo 2001-2011 il livello della nuova domanda, misurato in termini di alloggi, è stato poco inferiore al livello di nuovi alloggi immessi nel mercato: 2.72 milioni di nuove famiglie a fronte di 2.76 milioni di nuove abitazioni.
Nel 2012, i dati demografici dicono che il numero di nuove famiglie è sensibilmente superiore a quello dei nuovi alloggi: 206mila contro 169mila, tendenza che sarà confermata almeno fino al 2020. I Comuni non possono guardare solo alla mera necessità di incrementare il proprio gettito tributario: il federalismo fiscale può e deve rappresentare lo strumento per varare politiche fiscali capaci di attrarre sul territorio investimenti immobiliari per il rilancio dell’economia e dell’occupazione, anche mediante regimi tributari agevolati.

Una priorità è rappresentata dalla modifica del regime IMU vigente, che assoggetta a tributo i fabbricati costruiti per la vendita e le aree edificabili in corso di edificazione. E’, quindi, urgente ed essenziale l’esenzione totale dall’IMU degli immobili in corso di costruzione fino alla loro vendita o locazione. Così come va eliminato il regime IMU sull’invenduto: l’edilizia è l’unico tra i settori industriali a subire una pesante forma di tassazione sulla produzione nel momento in cui il mercato non assorbe tutto il prodotto.
Non si chiede l’esenzione dell’intero settore delle costruzioni, che comunque continuerebbe a pagare l’IMU sugli altri immobili non destinati alla vendita (es. uffici, capannoni, opifici, utilizzati nell’esercizio dell’attività), ma l’eliminazione di una grave distorsione fiscale.

Bisogna intervenire con una modifica della norma sulla responsabilità solidale fiscale, quantomeno per l’IVA, in modo da riattivare i pagamenti bloccati dal rischio conseguente.
Si tratta di una disposizione che affida alle imprese impropri compiti ispettivi, sostituendosi ad un’Amministrazione non in grado di garantire il controllo sul rispetto degli adempimenti fiscali e che obbliga le imprese ad acquisire la certificazione sulla regolarità fiscale, incrementando i costi di gestione amministrativa e bloccando il pagamento dei corrispettivi.

E’ evidente la contraddizione risultante, da un lato, dal recepimento “anticipato” della Direttiva sui ritardati pagamenti della Pubblica Amministrazione e, dall’altro, dall’introduzione di adempimenti fiscali che rallentano il pagamento delle fatture.
Ai fini IVA, poi, la regolarità fiscale è garantita dal “reverse charge” nei rapporti tra appaltatore e subappaltatore che rende del tutto inapplicabile la responsabilità.

Una diversa politica fiscale è possibile per la costruzione e l’acquisto della prima casa
Bisogna disegnare una strategia pubblica che favorisca il rilascio di prestiti a tasso zero per l’acquisto dell’abitazione principale, per il quale il beneficiario possa dover restituire la sola quota capitale, senza corrispondere alcun interesse all’istituto erogante.
Sulla base di convenzioni stipulate con lo Stato, l’Istituto erogante può recuperare gli interessi non corrisposti dall’acquirente, attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta di pari ammontare.
E’ inevitabile che questa misura sia limitata ad alcune operazioni, come ad esempio:
•    l’acquisto di abitazioni di nuova costruzione o esistenti purchè gli immobili siano ad alta efficienza energetica (classe A o B) con l’obbligo per i beneficiari di destinare l’immobile acquistato ad abitazione principale;
•    gli interventi di ristrutturazione di immobili, con cambio di destinazione d’uso da non residenziale ad abitativo (assimilati ad alloggi di nuova costruzione);
•    gli interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica delle abitazioni, sulla base di valori energetici previsti dal progetto di riqualificazione;
•    l’acquisto di una abitazione oggetto di contratti di locazione con patto di futura vendita.
In ogni caso, la valutazione della solvibilità e la verifica delle garanzie fornite dai richiedenti rimangono in capo all’istituto erogante. L’importo massimo del mutuo a tasso zero può variare in funzione della composizione del nucleo familiare. La durata del periodo di rimborso del prestito può variare in funzione del reddito del nucleo familiare.
Ovviamente, l’accesso al mutuo a tasso zero è dovrebbe essere consentito ai nuclei familiari con reddito ISEE inferiore ad una quota da definire, che non possiedano immobili nel luogo di residenza.

Altra misura percorribile è l’introduzione di una detrazione Irpef commisurata al 50% dell’IVA dovuta sull’acquisto di abitazioni di nuova costruzione, effettuato entro un determinato periodo (2013-2014 ad esempio), destinate ad abitazione principale dell’acquirente, con caratteristiche di elevata efficienza energetica.
Più in particolare, per le persone fisiche dovrebbe essere riconosciuta una detrazione Irpef pari al 50% dell’IVA dovuta sugli acquisti (anche conseguenti alla stipula di contratti preliminari di compravendita) da ripartire in cinque quote annuali di pari importo, a partire dal periodo d’imposta nel quale l’acquisto è effettuato e nei quattro successivi (alternativamente, la detrazione potrebbe essere ripartita in dieci anni).
L’agevolazione consentirebbe, quindi, di fronteggiare la significativa flessione in termini di compravendita delle abitazioni e la conseguente riduzione di gettito per l’Erario favorendo, contestualmente, sia i privati nell’acquisto di unità immobiliari da destinare ad abitazione principale, sia le imprese che, per effetto della crisi del mercato, non riescono a rispettare le previsioni di vendita delle abitazioni costruite, con livelli spesso elevati di “invenduto”.

Elevare al 30% la percentuale di detraibilità degli interessi passivi dei mutui per l'acquisto della prima casa (attualmente fissata al 19%) e di portare a 5.000 euro il limite massimo cui commisurare tale detrazione (attualmente ammessa nel limite massimo di 4.000 euro).
Tale provvedimento è in grado di avere effetti positivi sul reddito disponibile delle famiglie. Da una parte, infatti, le famiglie potrebbero far fronte con maggiore sicurezza alle scadenze delle rate e dall’altra si avrebbe un effetto ricchezza, perché le famiglie acquirenti potrebbero accedere a prestiti di maggiore entità, dal momento che si abbasserebbe il rapporto rata di mutuo-reddito disponibile, il parametro che le banche tengono maggiormente in considerazione al momento dell’erogazione di un finanziamento.

La prossima riforma del catasto, l’IMU, la Tares, l’imposta dei consorzi di bonifica e le mille altre imposizioni fiscali rendono sempre più difficile l’acquisto della casa e dell’investimento immobiliare destinato alla locazione.


PIU’ STATO, PIU’ CONTROLLI

Rischiamo il collasso delle economie locali, con depauperamento e perdita di competitività dei territori.
E’ indispensabile che sia dato ascolto all’enorme numero di piccole e medie imprese del settore e che sia data loro l’opportunità di crescere e di migliorarsi.
In un’economia aperta, come quella milanese, deve esserci posto per tutti, purché tutti rispettino le stesse regole e operino in identiche condizioni di legalità, trasparenza e qualità.
Un mercato ridotto e riconfigurato porta ad una selezione esasperata, che purtroppo non è sempre premiante per le imprese migliori. La Costituzione garantisce e tutela il lavoro: vogliamo che sia rispettato questo principio imprescindibile anche per il lavoro di noi imprenditori.

Controlli e legalità in cantiere
Vogliamo resistere ma non a qualsiasi costo: il perdurare della situazione di crisi del settore a livello nazionale assume una peculiarità in questo territorio.
La riduzione del mercato ha esasperato la crescente apertura di quello locale: l’80 % delle imprese del territorio occupa solo il 58 % dei lavoratori residenti; nei cantieri cresce la presenza di imprese non edili.
La crisi ha portato l’attenzione sul tema del costo del lavoro: da sempre, l’edilizia ha dovuto farsi carico di definire e accompagnare strategie forti per il contrasto al lavoro nero e all’illegalità, per la sicurezza e la qualità del lavoro nei cantieri. L’edilizia vanta l’unico stabile e organizzato sistema bilaterale, che funziona da oltre 60 anni per garantire sempre migliori condizioni di lavoro .
Oggi questo modello, per anni in equilibrio, è esploso e dobbiamo ridefinire il concetto di produzione nel settore delle costruzioni per elaborare una strategia di politica industriale efficace. In un contesto economico dove solo il prezzo conta, assistiamo a lucide strategie, anche legittime sotto il profilo del diritto, che mettono fuori dal mercato le imprese che non accettano di concorrere e vincere grazie a comportamenti poco etici e pochi trasparenti.
La riduzione dei costi di produzione e l’aumento delle prestazioni richieste sono la frontiera della competizione internazionale, ma non vogliamo che Milano diventi la punta italiana della concorrenza senza regole. Vogliamo che Milano e questo territorio rimangano un luogo di eccellenza per la legalità, la sicurezza nei cantieri, la qualità dei rapporti della filiera.
NON VOGLIAMO CHE NEI NOSTRI CANTIERI SI DECRETI LA MORTE DELL’INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI “SANA” DEL PAESE.
Per contrastare l’irregolarità del lavoro e l’affermarsi di un sottobosco inaccettabile di lavoro ai limiti della legge, ci impegniamo a far sì che il sistema delle Casse Edili, attraverso il DURC fornisca un documento di certificazione della effettiva regolarità contributiva dell’impresa, riportando anche il numero dei dipendenti e delle ore di lavoro denunciate alla Cassa Edile.
Tutte le Casse Edili sono immediatamente obbligate alla messa in rete di tutte le informazioni relative alle imprese iscritte, comprese quelle inerenti la regolarità contributiva. Le imprese esercenti lavori edili di qualunque tipologia, iscritte ad una delle Casse Edili non ancora in rete, sono tenute ad iscriversi sin dal primo giorno alla Cassa Edile competente per il luogo in cui vengono eseguiti i lavori, la quale è l’unica abilitata a rilasciare il DURC.
Vogliamo che nei cantieri ci siano regole uguali per tutti: a uguali rischi uguali costi di prevenzione e protezione dei lavoratori.

Uscire dal mercato ma non a danno di chi lotta per restarci
La crisi di impresa da evento singolo si sta trasformando in problema diffuso, generalizzato. In un’ottica di reale sostegno alle imprese in situazione di crisi aziendale, bisogna apportare ulteriori modifiche alla disciplina in materia di procedure concorsuali.
La legge sul fallimento e sulle procedure concorsuali deve essere vista come il naturale approdo per risolvere i problemi, non come l'evento ultimo, così come previsto anche dall'Azione chiave 7 nella Comunicazione della Commissione Europea del 3 ottobre u.s. "Insieme per una nuova crescita".
Siamo chiamati a un salto organizzativo enorme e alla ridefinizione delle nostre strutture aziendali in funzione di nuovi paradigmi produttivi: standardizzazione, riduzione dei tempi, uso di materiali non tradizionali, specializzazione e diversificazione.
Tutto questo in un teatro di rappresentazione che ha cambiato le regole e le priorità. Le città sono divenute il laboratorio del nuovo, i luoghi in cui bisogna portare soluzioni e misurare la nostra capacità di generare armonia: perché è ancora vero che “il progresso economico e sociale discende da problemi tecnici felicemente risolti “.

Qualificazione delle imprese nel mercato privato
Le imprese stanno cambiando e la qualità, il rispetto delle regole, l’eticità dei comportamenti, l’impegno come impresa sociale sono elementi fondamentali per rimanere nel mercato.
Le imprese stanno resistendo, ma è imprescindibile intervenire affinché vi sia una disciplina sull’accesso e sulla qualificazione delle imprese anche nel mercato privato, e non solo nel settore degli appalti pubblici.
Attenzione, però: qualificare il settore deve voler dire valorizzare e far crescere le imprese sane, che operano nel rispetto delle regole, e non deve invece significare ulteriori vincoli e barriere che si traducono in rigidità e incapacità di un controllo pubblico reale.
 
Selezione a monte nel mercato Pubblico
Vogliamo che lo Stato, anche nelle sue articolazioni territoriali, prenda atto della crescente complessità del processo realizzativo di un’opera pubblica.
Una complessità che esige dalle stazioni appaltanti sempre maggiori competenze che, viceversa, sono messe in discussione dalla carenza di personale e di organizzazione tecnica. Il progressivo depauperamento delle competenze tecnico-progettuali della Pubblica Amministrazione (soprattutto a livello di enti locali) incide inevitabilmente sull’iter costruttivo dell’opera.
La qualità della realizzazione dipende, infatti, dalla capacità dell’ente di definire con chiarezza le caratteristiche del prodotto finale, nonché dalla bontà della progettazione. Purtroppo, frequentemente ad una carente attività di programmazione segue una progettazione mediamente non elevata o addirittura scadente.
L’effluvio normativo in tema di selezione dei concorrenti richiede competenze e capacità specifiche e crescenti.
In termini di efficienza della domanda pubblica e per garantire la scelta di operatori/esecutori qualificati, è indispensabile che vengano attuati forme e strumenti di coordinamento e di supporto tra i diversi soggetti della Pubblica Amministrazione. E’, quindi, improcrastinabile l’attuazione della Stazione Unica Appaltante (SUA), in grado di razionalizzare e dotare di univocità di indirizzi e di maggiori competenze la Committenza pubblica, fermo restando il ruolo imprescindibile di definizione strategica e di responsabilità in capo alle singole stazioni appaltanti.
Chiediamo di poter essere valutati soprattutto per il merito e non secondo criteri legati quasi esclusivamente al prezzo.
Offriamo contemporaneamente, la disponibilità ad una revisione del sistema di qualificazione delle imprese con vincoli più seri e stringenti di quelli attuali, per concretizzare una politica di rottamazione che riduca il numero eccessivo di imprese, salvaguardando quelle con maggior potenziale competitivo.
Siamo disponibili ad una maggiore patrimonializzazione dell’impresa.
Non chiediamo di rottamare il sistema delle SOA, chiediamo qualche barriera in più: infatti,  per realizzare un sistema efficace di controllo sui concorrenti occorre, però, che il sistema SOA costituisca la soglia minima d’accesso al mercato pubblico.
Deve essere data la possibilità all’Amministrazione, con riferimento alle singole gare di poter individuare requisiti ulteriori e più stringenti tra i quali quelli reputazionali.
La rilevanza data a fattori reputazionali è un meccanismo per responsabilizzare e controllare l’impresa in fase esecutiva con un premio da far valere in sede di successive gare: così, le due fasi sono messe in una relazione effettiva e virtuosa, ciò che ora manca. Oggi per le imprese, anche al fine di mantenere l’attestazione SOA, è indispensabile aggiudicarsi dei lavori. L’esecuzione non è rilevante ai fini della qualificazione; così, come è stato denunciato, si accettano ribassi palesemente incongrui con l’implicito e sottaciuto patto che verranno recuperati nella fase esecutiva.
L’introduzione, nella procedura di assegnazione dei lavori, di elementi legati al comportamento passato delle imprese accresce gli incentivi ad adottare comportamenti virtuosi nell’esecuzione dei lavori.
E’ evidente che gli imprenditori “seri” nulla hanno a temere dai controlli, durante tutta la fase esecutiva; al contrario, sono le Amministrazioni che non danno conto dei costi effettivi dell’opera, dopo riserve, perizie, vari contenziosi, nonché dei reali tempi di esecuzione.
Siamo disposti a sviluppare e a diffondere più forti competenze di natura progettuale, anche per esempio, attraverso la diffusione della figura dell’appalto integrato semplice o, comunque, forme che realizzino una maggiore sinergia fra committente e appaltatore non più relegato al ruolo di mero esecutore.



REGOLE CERTE E CERTEZZA DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA PER INVESTIRE , PER LAVORARE, PER VIVERE

La Pubblica Amministrazione è l’infrastruttura su cui corrono le idee, è il partner dello sviluppo. Il territorio e i luoghi della città sono sempre stati un potente fattore di crescita e di creatività imprenditoriale. Negli ultimi anni si percepisce, però un rallentamento di quella “capacità del fare” che ci caratterizza.
La forma mentis della struttura pubblica condiziona i tempi dell’economia e rischia di divenire un freno all’innovazione. La complessità del quadro normativo e delle innumerevoli varianti procedurali, inoltre, pesa sulla gestione delle imprese e non aiuta i controlli che invece sono fondamentali per la tutela di quanti operano nel rispetto delle norme stesse. In queste condizioni il sistema non garantisce il raggiungimento degli obiettivi che il legislatore si pone e appare incoerente se analizzato come rapporto tra costi e benefici.

Pare che non si riesca a ristabilire un giusto nesso tra il servizio pubblico, che alcune istituzioni dovrebbero salvaguardare, e l’obiettivo – più importante – di costruzione di cittadinanza. E proprio la mancanza di questa dimensione trasforma il cittadino in un soggetto passivo, lontano, spettatore inerme e talvolta addirittura vittima di leggi incomprensibili, circolari applicative anguste, norme lontane dalla realtà e dall’Europa.

Bisogna tagliare i costi della burocrazia per eliminare vincoli e liberare risorse per lo sviluppo e la competitività delle imprese, tenuto conto che la semplificazione è una riforma a costo zero.
Il mercato ha bisogno di regole certe per crescere: gli investimenti sono congelati perché mai come ora non vi è certezza del diritto e vi è ancor meno certezza dell’azione amministrativa.

Bisogna validare l'eccellenza dei professionisti riconoscendone il ruolo e l'esperienza di conoscitori e cogestori del territorio aumentando la simbiotica collaborazione tra tecnici pubblici e tecnici professionisti, affievolendo la dannosa visione dicotomica di funzione, per il fine pubblicistico comune.

In uno scenario di contrazione delle risorse, i pochi stanziamenti vanno a concentrarsi su un ristretto numero di grandi opere, ad appannaggio di pochi e grandi appaltatori. Rimangono poi le ”briciole”, appalti di medio-piccole dimensioni che vengono fatti sparire con un ricorso esasperato alle procedure negoziate riservate a pochi eletti, scelti dalla committenza con troppa e discutibile discrezionalità che può essere foriera di corruzione.

Un mercato protetto, con ricorso sempre più frequente ad affidamenti in house senza gara a società controllate o collegate.
Una proliferazione di società municipalizzate, costituite per aggirare il Patto di stabilità, molte delle quali oggi sono in default, con grave danno per i creditori che dovrebbero essere garantiti dagli enti per i quali hanno effettivamente operato.

La spending review ha introdotto, nel caso di contratto di affitto tra controparte privata (locatrice) e pubblica amministrazione (locatario), la riduzione automatica del canone nella misura del 15% di quanto contrattualmente corrisposto, dando vita ad una modifica unilaterale del contratto di locazione. E’ auspicabile, quindi, che l’impresa locatrice privata possa invocare la facoltà di recesso volontario da parte della stessa, oppure che la norma contenuta nella spending review abbia limitata efficacia temporale, quale misura d’urgenza per ridare fiducia e certezza delle regole in gioco.
Da troppi anni sentiamo parlare di semplificazione e di snellimento procedurale ma temiamo che questo Paese non abbia la volontà di metter mano seriamente a questo problema. Serve una riforma radicale che, partendo dalla semplificazione normativa, approdi a quella procedurale, stratificata e consolidata nelle strutture dei mille enti pubblici con competenze sovrapposte e concorrenti.

Ancora oggi, in un momento congiunturale così difficile per i sistemi economici, troppo poco è cambiato nelle regole e nelle procedure amministrative: i nodi sono sempre quelli e la Pubblica Amministrazione continua a svolgere i propri compiti conservando ruoli e funzioni spesso incomprensibili per il raggiungimento dell’interesse pubblico.

Una giungla che scoraggia chiunque voglia intraprendere una nuova iniziativa e che annienta gli operatori.



PER GUARDARE AL FUTURO CON LA CONCRETEZZA DI CHI FA IMPRESA
 
CITTA’ CASA RIQUALIFICAZIONE
Una opportunità se:

Piano Città
E’ fondamentale dare concretezza al Piano città. Di fronte al successo rappresentato dalle numerose proposte avanzate dai Comuni, appare necessario destinare 2 miliardi di fondi strutturali e FAS, della programmazione in corso, a questo importante progetto, e, in prospettiva, farne una priorità della prossima programmazione, destinando agli interventi sulle città almeno 2 miliardi l’anno per sette anni. Sotto il profilo urbanistico, per facilitare l’attuazione di tali programmi, occorre superare, con apposite disposizioni, il vincolo della proprietà frazionata degli edifici che rappresenta un ostacolo spesso insormontabile per le politiche di sostituzione edilizia.

Riqualificazione urbana
Incentivare, anche fiscalmente, i processi di riqualificazione urbana.
In quest’ottica, è necessario introdurre un “pacchetto di misure”, dirette a:
a)    favorire la “rottamazione dei vecchi fabbricati” e la loro sostituzione con edifici di “nuova generazione”. A questo scopo, si potrebbe pensare di ridurre al minimo le imposte a carico delle imprese acquirenti i fabbricati “usati” (Registro e Ipocatastali in misura fissa) e di attribuire, contestualmente, agli acquirenti del “nuovo” fabbricato una detrazione fiscale correlata al prezzo di acquisto;
b)    migliorare l’efficacia della detrazione del 36%, includendo nel suo ambito applicativo anche gli interventi di vera e propria “sostituzione edilizia” che, nei fatti, si traducono nella demolizione e ricostruzione dell’esistente con variazione della sagoma e della volumetria (oggi esclusi dall’agevolazione);
c)    rendere stabile la detrazione del 55%, rimodulandone l’intensità in funzione della maggior efficacia dell’intervento al raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico dell’edificio.

Casa
Riavviare un’offerta di abitazioni in locazione da parte degli enti pubblici - destinata alle fasce sociali più deboli - e di abitazioni co-finanziate (pubblico-privato) per la locazione e per la proprietà/assegnazione.
Per far ciò, è necessario individuare un canale di finanziamento che non necessiti di uno specifico prelievo fiscale, quanto piuttosto utilizzi, magari sino al raggiungimento di un plafond predeterminato sulla base dei fabbisogni stimati, introiti di natura impositiva già previsti (ad esempio, lo storno di una somma proporzionale al valore dichiarato compresa tra i 200 e 500€ a valere sulle compravendite immobiliari di qualsiasi tipologia di immobile).

Lo storno potrebbe avere una durata biennale ed essere sospeso sino a quando non siano stati spesi almeno i 2/3 delle somme devolute agli enti locali. Le Pubbliche Amministrazioni per potervi avere accesso dovranno dimostrare la capacità di un proprio cofinanziamento (anche mediante risorse private) in una misura compresa tra il 50 e il 75% e la capacità di impiego in un termine perentorio da individuare.

Privilegiare l’integrazione nell’ambito urbano su scala diffusa
Usare il potenziale delle reti infrastrutturali e dei servizi (secondo il modello del Piano città) per piani/programmi con elevate caratteristiche di sostenibilità ambientale ed economica, pluralità di tipologie di godimento (locazione/proprietà) e di funzioni. Il consumo territoriale dovrà essere il più possibile contenuto e si dovranno privilegiare il recupero degli immobili dismessi pubblici e privati attraverso procedure di evidenza pubblica.

Attivare una cabina di regia in grado di facilitare le amministrazioni locali nel reperimento dei fondi pubblici e nelle successive attività attuative.

Incentivare fiscalmente l’investimento nel comparto della locazione
Per quanto concerne il mercato dell’affitto, sono diverse le problematiche emerse dalla contestuale introduzione dell’IMU e della “cedolare secca”, concepiti come due provvedimenti autonomi ma che finiscono, entrambi, per influenzare la tassazione degli affitti.
L’IMU, al contrario dell’ICI, scoraggia l’affitto delle abitazioni.

Si è passati, infatti, da un sistema che prevedeva un’aliquota ICI più elevata sui fabbricati sfitti, ad un’IMU che, assorbendo anche la tassazione Irpef (rendita catastale aumentata di un terzo) degli immobili, incentiva proprio il possesso improduttivo delle abitazioni.
Neanche l’introduzione della “cedolare secca” è valsa a compensare la maggiore IMU dovuta sui fabbricati affittati, tassati con aliquota fino all’1,06%.

Occorre garantire una riduzione “automatica” del prelievo IMU a favore dei soggetti che concedono gli immobili in locazione a “prima casa”. Proponiamo quindi, come misura immediata, che l’aliquota IMU per gli alloggi affittati a “prima casa” sia quella agevolata della prima casa, perché non si vede la ragione per la quale – a pari finalità sociale dello Stato di favorire l’abitazione principale - la locazione debba essere penalizzata rispetto alla proprietà (anzi la finalità sociale è ancora più evidente per chi non è in grado di comprarsi la casa).
I deludenti effetti sul gettito della “cedolare secca” hanno evidenziato l’insufficienza di tale strumento per far emergere realmente gli affitti in nero.

Occorre rafforzarlo affiancando anche specifiche agevolazioni (detrazioni IRPEF o crediti d’imposta) a favore degli inquilini, come misure fondate sul “contrasto d’interessi”, riconosciute valide anche dalla delega fiscale in itinere.

Incentivare l’investimento in immobili da affittare, ovvero introdurre forme di tassazione separata anche per il reddito da affitto delle imprese. Tali redditi sono oggi tassati pienamente e non è prevista alcuna forma di abbattimento per spese di manutenzione degli immobili. E’ evidente la disparità di trattamento, rispetto all’investimento dei privati che, oltre alla “cedolare secca”, godono anche delle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, ormai assunte a regime.


LAVORI PUBBLICI
Un nuovo rapporto di fiducia con la PA se:

 
Sospensione Lavori in caso di mancato pagamento
In considerazione del momento estremamente difficile per il settore e della difficoltà della P.A. di pagare il corrispettivo di lavori già eseguiti, si propone di consentire, in via transitoria, la possibilità di sospendere i lavori, da parte del soggetto esecutore, in caso di mancato pagamento da parte della Stazione Appaltante di un importo inferiore a quello attualmente previsto (25% del corrispettivo contrattuale), portandolo al 10% dell'importo netto contrattuale.

Pagamento con permuta solo se cambiano le regole
Appare fondamentale anche l’opportunità di ampliare il ricorso all’istituto della permuta di immobili quale modalità di pagamento del corrispettivo da parte dell’Amministrazione, nel senso di consentirne il trasferimento di proprietà prima del collaudo dell’opera.
 
Rivedere i meccanismi SOA per non morire di standard impraticabili
In analogia con quanto già previsto per i requisiti di qualificazione SOA, occorrerebbe estendere ai migliori cinque anni sugli ultimi dieci il periodo di riferimento per la dimostrazione della cifra d’affari necessaria per le gare di importo superiore a 20.658.000 euro. Ciò consentirebbe alle imprese - che negli ultimi anni denotano una contrazione dei fatturati - di partecipare alle gare di appalto pubbliche di lavori in cui sia previsto un importo superiore. Nella stessa ottica, è necessario prorogare di un anno l'incremento della tolleranza nella revisione triennale dell'attestazione SOA, introdotta dalla legge di conversione del D.L. n. 73/2012.

Rivedere i meccanismi di procedura di gara per ricreare regole di concorrenza nel mercato dei lavori pubblici
Si propone un pacchetto di modifiche normative che mira a garantire maggiore trasparenza nelle procedure di gara per l’affidamento di appalti di lavori pubblici, incidendo sulla disciplina riguardante diversi istituti giuridici. L’obiettivo è quello di contenere il rischio di condizionamenti, pratiche collusive o comportamenti arbitrari che possano compromettere i principi di concorrenza. Le modifiche proposte riguardano: il criterio di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa che, data la complessità, dovrebbe essere limitato ad appalti al di sopra di un certo importo (ad esempio 2,5 milioni di euro); l’individuazione dei membri della commissione giudicatrice, nominata in caso di offerta economicamente più vantaggiosa, mediante sorteggio in un elenco di esperti; il criterio dell’esclusione automatica delle offerte anomale, nell’ambito del quale andrebbero inseriti alcuni elementi di casualità, con l’obiettivo di evitare eventuali condizionamenti. Per il futuro, occorrerà istituire un sistema di migliore selezione delle imprese, basato su elementi quali-quantitativi, in grado di ridimensionare la logica del solo fatturato e di premiare le imprese solide e strutturate, dotate di “elementi reputazionali” che ne dimostrino l'affidabilità morale, la solidità patrimoniale, la qualità delle prestazioni rese, la storia imprenditoriale.

Dimensione degli importi messi a gara
Al momento della decisione di investimento, appare necessario porre attenzione ai grandi lavori, senza dubbio importanti, ma anche ad una di serie di piccoli e medi interventi diffusi, in grado di aumentare l’efficienza dei territori, al servizio dei centri urbani e produttivi del Paese.
In questo quadro, la norma sulla suddivisione in lotti, introdotta dal Decreto "Salva Italia", dovrebbe trovare concreta attuazione in sede progettuale ed essere opportunamente sanzionata. Analogamente, è necessario individuare - in via normativa - le concrete modalità di attuazione del principio, introdotto dal medesimo Decreto “Salva Italia”, che impone il coinvolgimento delle piccole e medie imprese nell’ambito della realizzazione delle grandi infrastrutture.

Regole per i lavori in house
Eccessivamente ampio appare il fenomeno dei lavori “in house”, ossia quelli realizzati tramite imprese collegate e/o controllate da soggetti pubblici, senza far ricorso ad operatori economici scelti con gara. Al tal riguardo, è essenziale portare al 100% la percentuale di lavori che i concessionari autostradali sono obbligati ad esternalizzare tramite gara, percentuale già elevata dal 50% al 60% dal Decreto Sviluppo, considerato che “a monte” non vi è stata espletata una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento della concessione.

Progetto, ribasso, riserve
Più equità nei rapporti contrattuali con la PA. Il riferimento va anzitutto alla norma “taglia riserve” che vieta di iscrivere riserve per un ammontare superiore al 20% dell’importo contrattuale, nonché, in senso assoluto, per difetti della progettazione. Impedire le riserve è una misura del tutto iniqua. Un principio di civiltà, oltreché costituzionale, è “Chi sbaglia, paga!”. Diversamente, si rompe il rapporto corretto tra amministrazione e impresa e viene meno il criterio di reciprocità. Anche la norma sul “caro materiali” va rimodulata, introducendo una previsione che, pur tenendo conto dell’esigenza di contenimento della spesa pubblica, risulti più equilibrata di quella attuale. Per il “caro-bitume”, inoltre, occorrerebbe prevedere una normativa “ad hoc”, data la natura particolare del materiale.


FIDUCIA AGLI INVESTITORI DEL SETTORE IMMOBILIARE
Solo se cambiano le regole


Adeguare la burocrazia e le regole ai tempi dettati dalla crisi
La situazione di crisi esistente nel settore dell’edilizia privata, che si sta manifestando con rallentamenti nell’ultimazione dei lavori, con il mancato ritiro dei permessi di costruire - va affrontata prevedendo - qualora le regioni non si siano già attivate in forma autonoma, una specifica misura normativa. Si chiede che i termini per l’inizio dei lavori e la loro ultimazione, nonché quelli previsti per l’attuazione delle convenzioni possano beneficiare di una proroga dalla durata quanto meno biennale; in alternativa, si può ipotizzare un periodo di sospensione dell’attività.
Per facilitare l’ultimazione dei programmi urbanistici in itinere, occorre introdurre una norma di interpretazione autentica sul previgente regime agevolato per l’attuazione dei piani urbanistici (Registro all’1% ed Ipocatastali in misura fissa pari a 336 euro – art.33, comma 3, legge 388/2000), che chiarisca che non si opera la decadenza dai benefici fiscali se, entro 8 anni dall’acquisto dell’immobile, siano state ultimate le opere di urbanizzazione e, in caso di rivendita, se l’intervento sia portato a termine da un’impresa diversa da quella che ha fruito dell’agevolazione.

Sportello unico una volta per tutte
Il decreto legge 83/12 ha previsto che tutti gli atti relativi ai permessi di costruire per l’attività edilizia privata vengano - a partire dal 12 febbraio, - svolti dallo sportello unico per l’edilizia istituito presso i Comuni. Si tratta di un passo importante verso l’unificazione e la semplificazione dell’attività amministrativa, sulla cui attuazione si giocherà una partita ancora più importante considerato il generale stato di crisi. È essenziale, se non si vuole correre il rischio di un blocco delle attività, che per quella data il processo di riorganizzazione degli enti locali e degli altri enti chiamati a rilasciare pareri e nulla osta sui titoli abilitativi, sia completato e, quindi, occorre vigilare affinché ciò si verifichi.

Locazione con patto di futura vendita
Nell’attuale contesto economico, caratterizzato da una contrazione dei finanziamenti bancari, l’istituto della locazione con patto di futura vendita e quello assimilabile della vendita con riserva di proprietà possono rappresentare una valida alternativa al mutuo per l’acquisto dell’abitazione. Questi strumenti vanno quindi incentivati per la loro capacità sia di favorire l’acquisto della prima casa, sia di agevolare la domanda immobiliare in un mercato depresso. Purtroppo la normativa fiscale penalizza fortemente il ricorso a questi due tipi contrattuali. E’, infatti, previsto che il pagamento dell’IVA sul prezzo complessivo dell’immobile debba essere anticipato al momento della stipula del contratto di locazione anche se di fatto non è ancora avvenuto il trasferimento della proprietà. Appare, quindi, prioritaria la modifica del decreto IVA così da prevedere il pagamento del tributo in modo progressivo sulle rate del canone di locazione/anticipo prezzo e, poi, sul saldo al momento del rogito.

Nuovi strumenti per il patrimonio immobiliare esistente
E’ necessaria una vera e propria politica economica per l’infrastruttura immobiliare; similmente a quanto fatto per altri settori strategici del Paese, non ultimo quello delle infrastrutture di trasporto.
Il “rinnovo dell’infrastruttura immobiliare” è la componente protagonista più rilevante dell’attività immobiliare/edilizia, tanto da aver superato per importanza le nuove costruzioni.
Questo ci rafforza nella convinzione che l’ammodernamento dello stock esistente, diffuso, ecosostenibile e senza ulteriore consumo del suolo deve essere la via italiana per la ripresa dell’attività edilizia.

La valorizzazione del patrimonio immobiliare, sia pubblico che privato, oltre ad essere un’evidente necessità indotta dalle esigenze di riduzione del debito dello Stato, degli enti locali, può rappresentare anche un’incredibile opportunità di sviluppo e crescita per l’occupazione in Italia; forse più di quanto non costituisca una buona via per la riduzione del debito pubblico.
Intervenire sull’infrastruttura immobiliare (case, uffici, scuole, carceri, ospedali, etc.), significa alimentare in modo diffuso e capillare la piccola e media impresa dell’indotto edilizio non già per realizzare prodotto nuovo, forse inutile alla luce dell’evoluzione demografica e della saturazione del territorio, bensì per rendere più efficiente l’infrastruttura fisica all’interno della quale la popolazione vive, lavora, consuma e trascorre il tempo libero.

Gli investimenti pubblici e privati sul patrimonio immobiliare, rispetto anche ai pur indispensabili investimenti sulle grandi infrastrutture, presentano indubbi vantaggi macroeconomici sia in termini di diffusione nel tessuto economico su tutto il territorio, sia in termini di ritorni di efficienza complessiva della nazione.

Una politica economica per la valorizzazione dello sterminato patrimonio immobiliare pubblico e dell’altrettanto rilevante patrimonio privato, oggi a rischio di obsolescenza, passa necessariamente attraverso alcune “aree di intervento” particolarmente urgenti ed in gran parte necessarie. In primo luogo, favorire una massiccia e strutturale analisi e riorganizzazione dei patrimoni, attraverso precisi processi di segmentazione degli attivi completati da chiare azioni di valorizzazione implementabili anche in un momento di difficoltà economica come l’attuale.

Strumenti per la finanziarizzazione dei patrimoni
Bisogna incentivare la finanziarizzazione dei patrimoni, per renderli liquidi e finanziabili con diverse fonti di finanziamento. Utilizzando le due macrostrutture (Fondi Immobiliari e Siiq) di possesso e gestione degli immobili di cui l’ordinamento italiano dispone, è possibile, soprattutto rimediando ad alcune imperfezioni normative, far convergere sui vari sub patrimoni immobiliari, preventivamente segmentati e dotati di business plan, i capitali italiani e stranieri essenziali per rimettere in movimento il mercato. Senza capitali internazionali non è, infatti, immaginabile alcuna azione di riqualificazione e dismissione su grande scala e senza ricorrere a veicoli standard quali i Fondi Immobiliari e i Reits/Siiq, facilmente comprensibili e generalmente conosciuti da tutti i grandi investitori internazionali, non è immaginabile alcuna attrattività del mercato italiano verso l’estero.
Occorre, quindi, un contributo riformatore che si sviluppi possibilmente lungo due assi fondamentali:
•    la correzione di alcune distorsioni normative che regolano la costituzione e la gestione dei Fondi immobiliari italiani e dei Reits italiani (Siiq);
•    la promozione e l’incentivazione di nuove società immobiliari quotate, (la quotazione è infatti un pre-requisito necessario delle Siiq), per porre rimedio all’anomala situazione del mercato italiano, che, a parità di stock con il mercato francese, non offre una profondità di mercato neppure confrontabile con quella del Paese d’Oltralpe, pur essendo le Siiq non molto dissimili dalle Siic francesi che rappresentano e si confermano un caso di assoluto successo nel panorama mondiale. L’azione di promozione e incentivazione della costituzione di nuove società quotate (candidate a diventare Siiq) dovrebbe essere perseguita in particolare nei confronti dei grandi soggetti istituzionali che possiedono importanti portafogli immobiliari (banche, assicurazioni e fondi pensione), che all’estero hanno saputo dare vita ad un nuovo settore finanziario che ha arricchito anche il listino di borsa in misura rilevante.

Qualsiasi finanziarizzazione o dismissione sarà impossibile o inefficace se non accompagnata da una chiara volontà di ammodernare, principalmente dal punto di vista energetico e funzionale, gli stock immobiliari esistenti impiegando l’impressionante apparato produttivo italiano operante nel settore immobiliare - edile. Dare lavoro alle migliaia di piccole e medie imprese capaci di lavorare sulla ristrutturazione degli immobili genera un ritorno di occupazione e un arricchimento infrastrutturale del Paese di evidente rilevanza anticiclica.
Vanno quindi incentivati questi tipi di interventi di ammodernamento degli stock, per esempio attraverso i meccanismi di premialità previsti dal nuovo PGT di Milano e da altri strumenti urbanistici.



Per chiudere

Bisogna riavviare la crescita e la filiera delle costruzioni vuole e può essere parte di questo progetto del Paese.

Le imprese, noi imprenditori e operatori del settore, i professionisti  siamo pronti a fare la nostra parte, ci assumiamo un impegno concreto per portare più qualificazione e qualità nei processi e nel prodotto.

Chiediamo un analogo concreto impegno alle forze politiche affinché ricreino le condizioni per consentirci di rimanere a lavorare nel nostro Paese.

I Partner de La Giornata della Collera

www.lagiornatadellacollera.org


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Autore: I partner de La Giornata della Collera

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