Abbiamo esagerato. Ora basta
Quel che rimane del ponte di Genova sul torrente Polcevera è proiettato sulle polemiche e sulle lacrime. Tutto il resto si è disintegrato: 50.000 metri cubi di calcestruzzo e ferro polverizzati in pochi secondi portandosi via vite umane e aprendo drammaticamente l’analisi sul silenzio. Silenzio che viene dal peso invisibile dell’incuria. Silenzio e simbolo tragico dell’Italia che ha smesso di crescere. Silenzio sui governi che hanno messo nel tempo al primo posto del dibattito politico i venditori ambulanti, le televisioni, gli immigrati, i conflitti di interesse, le coppie gender, gli esodati e i vitalizi. Silenzio sulle priorità. Silenzio sull’etica e sulla cultura d’impresa, sulla responsabilità nell’esercizio della funzione pubblica. Silenzio sul tema del dovere e del controllo. Silenzio sulla creazione di una cultura forte basata su lavoro, su responsabilità e rigore. Silenzio sulla strategia, sull’obiettivo di medio termine. Silenzio sull’avvenire. Silenzio su questa ormai tristemente consolidata abitudine contemporanea all’attendismo imperante, generata dalle promesse e dalla propaganda della politica della seconda Repubblica, che ha smesso di proteggere progressivamente quella sana base culturale per la quale a tutti deve essere connaturato l’obbligo dell’impegno per migliorare. In sintesi, silenzio sul nostro futuro. E così un Paese come il nostro che ha visto, tra gli anni cinquanta e la fine degli anni ottanta, la realizzazione delle infrastrutture, delle reti della mobilità, delle connessioni fisiche, dell’avvicinamento dei distretti, dei territori, delle economie, delle regioni e delle persone, dei trasporti, improvvisamente si è fermato.
Alla manutenzione di ponti, dighe, strade, alla costruzione di nuove reti, al completamento di un progetto per il futuro sono arrivate altre priorità. Giocate sulla contrapposizione delle posizioni, sulla prevalenza ideologica prima, sul successo elettorale dopo e durante. Mai più nulla o poco di più per i cittadini (rari i tentativi di provvedimenti strutturali per l’occupazione), nulla per guardare avanti. E così è via via mancato sempre di più il lavoro. I tecnici nella pubblica amministrazione sono diventati un optional e sono stati progressivamente rimossi. La struttura dello Stato si è resa progressivamente più consolidata sul piano amministrativo e le leggi non organiche ne hanno impedito una efficace e sana organizzazione. Il Paese è stato immobilizzato dalla burocrazia e dalla corruzione. In questo contesto, anche le imprese hanno perso il loro ruolo fondamentale di appaltatori responsabili. Hanno vinto le derive, le più indegne e le più spaventose. E con l’esito strutturale della precarietà diffusa, accentuata dalla peggiore crisi economica della storia, siamo arrivati a oggi. Le risorse sono andate altrove. E pazienza se un piano generale di manutenzione straordinaria di infrastrutture e opere civili potrebbe creare occupati, PIL, crescita o nascita di nuove aziende, reddito e imposte. Slogan, pur legittimi, più o meno importanti, sbandierati da tutti i partiti in campagna elettorale tipo: reddito di cittadinanza, università gratis, bolli gratis, canone RAI gratis, flat tax, salario minimo garantito, riduzione dei contributi, pensioni minime, dentiere per gli anziani e chi più ne ha più ne metta, hanno tutto un altro appeal sugli elettori.
L’importante è essere seduttivi e sedativi. Ecco la mutazione pop della politica italiana. Tweet, conferenze stampa, slogan, apparizioni televisive, promesse e mance! Chi se ne importa del ruolo di responsabilità, del buon senso. Meglio il gioco d’azzardo. Tanto, i rischi sono sempre dei cittadini. Alla cassa a pagare le fiches, ci vanno sempre loro. E mentre in Parlamento da oltre 25 anni si continua a giocare d’azzardo, vengono giù ponti, crollano soffitti nelle scuole, edifici pubblici abbandonati all’incuria diventano inagibili, l’invarianza di interventi sul territorio consente alla natura di scatenarsi, intere zone vengono alluvionate almeno una volta all’anno. Ogni tre, cinque anni un terremoto distrugge qualche zona del paese.
I colpevoli ci sono sempre. I costruttori (immancabilmente), il governo precedente, la corruzione, qualche politico locale, qualche dirigente di questa o di quella società o ente pubblico o privato, qualche concessionario, qualche speculatore; spesso nessuno di questi, alle volte proprio nessuno. Da almeno 40 anni la colpa di qualcosa secondo il Ministro di turno è del Ministro o del Governo che c’era prima di lui; e quest’ultimo va a ritroso finché non trova un predecessore defunto, che fortunatamente, non può replicare; e così, in ambito politico, inevitabilmente termina lì lo scarico delle colpe. Nei prossimi mesi forse la magistratura definirà le responsabilità, il Governo assumerà le decisioni necessarie, ma la tragedia di Genova imporrà, dobbiamo davvero augurarcelo, un cambio di rotta rapido che obblighi tutti a fare la propria parte per affermare un diverso modello di intervento nel mercato dei lavori pubblici e del sistema delle leggi che lo regolano. E scusate se, sommessamente, mi permetto di dare un piccolo consiglio. Se un Paese vuole essere al passo con i tempi, se vuole essere moderno, se vuole esistere, deve investire. Deve manutenere ciò che ha e che gli serve, deve controllare che le condizioni di sicurezza esistano e siano presidiate, deve sostituire ciò che non è più utile, deve adeguare ciò che è inadeguato, deve avere rigore nei collaudi. Deve essere permanentemente proteso al cambiamento. E deve darsi degli strumenti idonei affinché i processi di adeguamento e di cambiamento siano effettivamente realizzabili. L’episodio del ponte Morandi deve essere considerato un dramma utile a cancellare le brutte notizie e soprattutto le pessime pratiche nel tempo intervenute.
Occorre però essere disponibili affinché si ricostituisca un clima che favorisca la strategia, il medio e lungo termine e il futuro del nostro Paese basato sulla crescita e sulla sicurezza dei cittadini.
Qui non c’è più il tempo di rompersi le meningi su battaglie del nostro sistema o sindacali che si chiedono se sia giusto il rapporto percentuale 80/20 o 60/40 nei lavori in house alle concessionarie autostradali. Qui non c’è da perdersi in audizioni fiume nel chiedersi perché con una legge di bilancio che destina 140 miliardi alle opere pubbliche il Paese è riuscito a cantierare soltanto qualche centinaio di milioni. Qui non c’è nemmeno da porsi domande se quella norma o quell’articolo di legge o del codice appalti possono essere adeguati o rispettosi del complesso dell’ordinamento stabilito. Qui c’è urgenza di riorganizzare lo Stato, riportare una base tecnica preparata e competente sul campo, a tutela degli investimenti, dei cittadini e delle imprese. Imprese che, queste sì, sono sempre di meno e sempre meno attrezzate, perché sono obbligate a concorrere oggi in un clima che non riconosce e non premia il confronto sul piano della competitività sana e sul risultato. Ma ci rendiamo conto che nel tempo si è generato un mostro che sottoscrive contratti di appalto precisi, con tutte le virgole a posto, con tutti i bolli dove devono stare, con tutti gli allegati e le paginette in ordine, e poi di quello che succede in cantiere non interessa più niente a nessuno?
Ma è possibile che si sia legittimata nel tempo una prassi per la quale al rigore amministrativo debba corrispondere l’indifferenza della prestazione, che legittima ribassi folli, lavori svolti a metà, qualità delle opere (siano esse di nuova costruzione o di manutenzione) da vergognarsi, contenziosi ingestibili? Chiediamoci se questa deriva abbia come responsabili le sole imprese, che senza dubbio hanno una grande responsabilità, o non anche la pubblica committenza che non inverte questo trend, che allarga le braccia a questa deriva, che non pone freno al decadentismo di risultato! Emblematico è quanto successo al Comune di Monza che nel luglio scorso aveva attivato un monitoraggio dei propri ponti e cavalcavia per definire le priorità di intervento della lista di 35 opere infrastrutturali di sua competenza, vedendosi negare da Cassa Depositi e Prestiti il finanziamento dei 50.000 euro necessari. Ricordo che il censimento fatto da Regione Lombardia nei giorni scorsi ha rilevato tra i più a rischio i 36 ponti sulla Milano-Meda in Provincia di Monza e Brianza, e ben 96 opere a rischio nella Provincia di Lodi. Pensate quanto altro potrà essere rilevato in Italia nei prossimi mesi! I morti del ponte Morandi dovrebbero servire a tutti a dire basta così.
Abbiamo esagerato. Abbiamo, veramente, esagerato! Certo ci sono tante cose da fare nel programma di ogni Governo. Anche quelle seduttive e sedative che sono state alla base del successo del voto, di volta in volta. Ma ci sono sicurezza e crescita dei cittadini e del Paese, e queste non possono essere svendute. Devono essere sempre al primo posto. È di queste emergenze che la politica deve incominciare ad appassionarsi, e deve cominciare ad appassionarsi molto in fretta, magari prima che cada un altro ponte o che venga giù un soffitto di una scuola, con un’altra drammatica, ingiusta, evitabile strage di innocenti.
Marco Dettori, Presidente, Assimpredil Ance
Settembre 2018